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Mese: Novembre 2019

PIANTE OFFICINALI: IL PUNGITOPO

Pungitopo
Nome scientifico: Ruscus aculeatus
Tipologia: Albero sempreverde
Potere calorifico: n/a

 

Descrizione: come riconoscere la pianta

 

Il pungitopo, tipica pianta natalizia, è diffuso nelle regioni mediterranee, soprattutto nei boschi di leccio. Si presenta come un arbusto che può raggiungere i 90 cm di altezza e dai rami dotati di piccole false foglie (rametti di appena 2-3 cm) da cui tra settembre e aprile nascono uno o due piccoli fiori bianchi. I rametti che sostituiscono la funzione delle foglie sono ovali, appiattiti, rigidi e piuttosto pungenti (caratteristica da cui deriva il loro nome). In primavera maturano i frutti: grosse bacche rosse.

Cosa può fare e come utilizzarla

 

È frequentemente utilizzato come pianta ornamentale in particolare in occasione delle festività natalizie, ma ci si può servire dei suoi frutti anche a scopo diuretico o per rinforzare le pareti dei capillari. Inoltre i suoi germogli sono molto ricercati per insalate o minestre.

 

Più da vicino…

 

Pungitopo - Dettaglio

SOPRAVVIVENZA: Come costruire una corda

Immagine documento

Costruire una fune intrecciando componenti di fortuna (vegetali e non)

L’efficacia di una corda

Quando ci si trova improvvisamente in situazioni avverse è importante sapersi costruire e/o ricavare utensili base, uno di questi è appunto: la corda. Con una fune si possono fare parecchie cose: scalare, calare, legare, tenere insieme e molto altro ancora. Perchè tuttavia questi utilizzi siano possibili è di vitale importanza approntare una corda elastica, resistente e adatta all’uso che ne vogliamo fare; a tale scopo, nella presente trattazione, cercheremo di imparare una tecnica semplice ed efficace.

Una buona corda è fatta di più “fili” intrecciati più volte tra loro a formare un’unica fune dalla resistenza notevolmente superiore ai singoli elementi che la compongono. In sostanza la forza applicata in tensione non si concentra parallelamente alla lunghezza della corda ma si potrebbe (impropriamente) dire che si ripercuote obliquamente e frazionata su più cordicelle; il risultato è quindi che la forza disperde la sua intensità in una spirale.

Come costruire una corda

Vediamo ora come costruire una corda, quali gli accorgimenti e i materiali:

  • Quali materiali – Perchè la corda risulti robusta è fondamentale scegliere materiali lunghi, asciutti, lievemente elastici e resistenti come: spago, piante rampicanti, alghe, erbe (ortiche, caprifoglio, ecc.), giunchi, liane, radici, fusti verdi (non secchi), scorza, canne verdi, tessuto, fronde/foglie (palma, rami, ecc.), crini o tendini di animali (bagnati).
  • Quali steli – Scegliamo sempre gli steli più lunghi, grandi, elastici e ragionevolmente spessi; evitiamo parti ammuffite, danneggiate e/o marce; per avere la certezza di aver scelto bene leghiamo con un nodo semplice due steli e proviamo a tirare dai due lati (con una forza media): se la fibra si spezza è debole, se il nodo si scioglie è troppo liscia e/o viscida.
  • Elasticità – A riguardo dell’elasticità possiamo dire che anche componenti rigidi possono essere “elasticizzati”: spellandoli, immergendoli in acqua per alcune ore, esponendoli a vapori o in taluni casi al calore del sole; detto questo occorre naturalmente pensare anche all’uso che si intende fare della corda (una canna di bambù per esempio potrebbe essere piuttosto rigida ma comunque utile a dati scopi).
  • Resistenza – Se la corda ci serve per sollevare (o peggio sospendere) carichi è importante optare per fibre più “poderose”: testiamone l’efficacia piegando la fibra in quattro direzioni diverse e osserviamo come e se si danneggia, in seguito sottoponiamola a tensione e riflettiamo nuovamente sulla sua fruibilità; evitiamo, se dobbiamo utilizzare la fune per più giorni, materiali che alla lunga tendono ad irrigidirsi seccandosi.
  • Intrecciare – Per costruire una corda davvero resistente è necessario per prima cosa creare delle specie “spaghi” attorcigliando (in senso orario) più filamenti; in secondo luogo legare tra loro tre di questi e infine procedere ad intrecciarli l’uno con l’altro (in senso antiorario, come descritto nell’immagine a fianco); ricordiamo di mantenere costante: direzione, simmetria e spessore; cerchiamo inoltre di stringere il più possibile la treccia.
  • Lavorare agevolmente – Per intrecciare con più facilità si possono posizionare dei piccoli legnetti legati alle estremità dei tre spaghi; allo scopo di lavorare con una corda corta e piuttosto tesa è utile invece avvolgere attorno ad un albero la parte già ultimata e tenere solo la parte che si sta elaborando.
  • Allungare – Siccome è raro trovare filamenti lunghi 20 o 30 metri è quasi consequenziale pensare di doverne legare più blocchi attraverso dei nodi (per imparare a fare vari tipi di nodi: pagina 1 e pagina 2). Per creare invece una corda più spessa è sufficiente aumentare il numero di filamenti o intrecciare più corde già ultimate.
  • Finitura – Affinchè la nostra fune non si sfilacci deve essere “impalmata” (fissata) alle  estremità (si veda la figura a fianco, punto 6); leghiamo quindi i tre filamenti sospesi attraverso una cordicella più sottile (in modo deciso, compatto e con più giri).
  • Precauzioni – Mai usare una corda prima di averne testato l’effettiva resistenza in condizioni simili a quelle di impiego; cerchiamo inoltre di fare calcoli ampi: se possibile, usiamo più corde, più spesse, insomma non facciamo completo affidamento su una corda messa insieme alla buona e con materiale di fortuna.

RICONOSCERE GLI ALBERI: IL CERRO, Quercus cerris

Cerro
Nome scientifico: Quercus cerris
Tipologia: Albero a foglie caduche
Potere calorifico: n/a

 

Descrizione: come riconoscere la pianta

 

Il cerro è una pianta proveniente dall’Europa sud-orientale e dall’Asia Minore, ma diffusasi abbondantemente su tutto la catena appenninica. Questo albero raggiunge un’altezza di 35 metri ed è dotato di chioma ovale, allungata e piuttosto compatta; la sua corteccia è di un grigio cenere, fessurata nelle piante adulte e in genere dura e spugnosa. Le ghiande di circa due centimetri sono poste sui rami dell’anno passato e hanno un colore bruno tendente al rosso, con striature longitudinali. Si distingue con facilità per le sue ghiande caratteristiche.

 

 

Cosa può fare e come utilizzarla

 

Legno poco pregiato rispetto a quello di altre querce viene usato per lo più come combustibile. Le sue caratteristiche lo rendono adatto all’uso per le traverse ferroviarie, dopo l’impregnatura.

 

Più da vicino…

Cerro - Dettaglio

PIANTE OFFICINALI: EQUISETO E FARFARACCIO

Equiseto (Coda cavallina): nome

Equisetum arvense – Equisetacee

Equiseto: proprietà

I principi attivi presenti nell’equiseto sono: silice (il 10% passa come acido silicico nelle tisane), calcio, magnesio, potassio, saponina (equisetonina), glucosidi flavonici, piccole quantità di alcaloidi e tannini. Per la presenza di questi sali minerali, in una forma molecolare altamente disponibile per il nostro organismo, l’equiseto contribuisce al “metabolismo dell’osso” e favorisce la remineralizzazione del sistema osteo-articolare e dei tessuti duri come unghie e capelli. La sua assunzione è quindi indicata in caso di fragilità delle unghie, perdita dei capelli, alopecia, osteoporosi, accrescimento scheletrico degli adolescenti, postumi di fratture, artrosi (grazie all’azione che esercita sia sulla cartilagine articolare, sia sul tessuto osseo) e le tendiniti (migliora l’elasticità dei tendini).


L’equiseto, o coda cavallina, è inoltre diuretico per cui è consigliato nel trattamento dell’eliminazione di scorie metaboliche. Inoltre è capilloprotettore per la sua azione astringente sui vasi sanguigni, utile contro la fragilità capillare. La proprietà cicatrizzante lo rende un ottimo riparatore tissutale e quindi è impiegato in campo cosmetico nella preparazione di prodotti contro smagliature, rughe e cellulite.

Equiseto: descrizione

Curiosa felce con fusto (50 cm) sterile (privo di fiori e semi), dotato di cloroplasti di colore verde, rigato, con stami verticillati. La moltiplicazione è assicurata dalle spore emesse da un secondo tipo di fusto (20 cm), di colore grigio perché privo di clorofilla, che compare alla base della pianta in primavera, ed è privo di cloroplasti, con uno strobilo alla sommità. Alla caduta delle spore, lo strobilo scompare e il fusto fertile diviene simile a quello sterile.

Equiseto: habitat

É tra gli organismi più antichi della terra, l’appellativo “arvense” denota la sua presenza in zone campestri, ed effettivamente non è infrequente trovarlo su terreni incolti umidi o lungo i fossati; ma anche lungo le scarpate, ambienti ruderali, e terreni sabbiosi e argillosi.

Equiseto: cenni storici

Il nome equisetum significa propriamente “coda o crine di cavallo” ed è stata utilizzata a scopo terapeutico, sin dall’antichità romana e greca. L’equiseto è conosciuto anche come “argilla vegetale” proprio per la composizione minerale e le sue proprietà.

Equiseto: ricetta

INFUSO: 1 cucchiaio raso di equiseto sommità, 1 tazza d’acqua

Versare la pianta nell’acqua fredda, accendere il fuoco e portare a ebollizione. Far bollire qualche minuto e spegnere il fuoco. Coprire e lasciare in infusione per 10 min. Filtrare l’infuso e berlo lontano dai i pasti per usufruire della sua azione remineralizzante e diuretica.

 

IL FARFARACCIO

Cos’è

 

Il farfaraccio è una pianta erbacea perenne originaria delle aree a clima temperato freddo. Annovera diverse specie e appartiene alla famiglia delle Compositae o Asteraceae. Il nome botanico è Petasites per via delle grandi foglie a forma di cuore che richiamano quelle di un grande cappello. Questa pianta era conosciuta fin dai tempi dell’antica Roma, dove i botanici di allora la usavano ai tempi di Nerone attribuendogli lo stesso nome. Le specie sono molto varie e per questo variano anche i loro nomi, tra cui troviamo il Tussilago petasites hybridus o Tussilago farfara o farfaraccio comune, il Petasites pyrenaicus e il farfaraccio bianco ( Petasite bianca). Questa pianta si sviluppa nelle zone montane e boscose, in luoghi freschi e ombreggiati, ma anche vicino alle sorgenti dei fiumi. In base alla specie può fiorire all’inizio o alla fine della primavera, da marzo a maggio, anche se alcune varietà si sviluppano a gennaio. In Italia cresce nelle zone alpine, specie la varietà petasite bianca. Il farfaraccio è conosciuto anche come bàrdano domestico, erba per la tegna, lampazzo, petrasita, barbaz, tossilagine maggiore, barde e lavassa. Si presenta con un fusto alto fino a 120 centimetri con foglie che nascono dopo la fioritura. Il farfaraccio è un tubero cioè le gemme sono sottoterra dove si trovano i rizomi e le radici. I fiori hanno una classica forma a campanaccio di colore giallo, bianco e rosa violetto. Il frutto ha la caratteristica di ricoprirsi della classica peluria detta “pappo”.

 

Proprietà

 

Il farfaraccio è una pianta dalle riconosciute proprietà officinali. L’erboristeria tradizionale usava gli estratti di farfaraccio per curare la tosse, l’asma e la rinite allergica. La tradizione popolare usa il farfaraccio anche per curare i disturbi del tratto uro-genitale, gastrointestinale, la colecisti e l’emicrania. Sembra che gli estratti di farfaraccio abbiano anche proprietà spasmolitiche., cioè inibenti gli spasmi della muscolatura liscia, infatti si usano per alleviare i dolori mestruali. Le benefiche proprietà del farfaraccio si devono ai suoi componenti principali, quali etasina e isopetasina. Si tratta di due sostanze con un forte potere vasodilatatore che permette di ridurre i fastidi dell’emicrania, inibendo il rilascio delle sostanze che scatenano il mal di testa. Gli estratti della pianta inibiscono anche il rilascio di istamina, la sostanza responsabile dell’infiammazione alla base della congestione nasale e della rinite allergica. Essendo anche emollienti, i principi attivi del farfaraccio favoriscono anche l’espettorazione, calmando il sintomo della tosse. Altri usi della pianta si riferiscono alla sua attività contro l’eccitazione nervosa e l’insonnia. Tra i suoi principi attivi ricordiamo anche: prodotti a base di zolfo, alcaloidi, flavonoidi, sali minerali e inulina. Proprio per la presenza degli alcaloidi, l’uso di estratti di farfaraccio è sconsigliato a chi soffre di problemi epatici.

 

Sopravvivere: istruzioni per costruire arco e frecce

Quando può servire un arco

Partiamo dicendo subito che l’arco è un’arma e va usato con senno. In ipotetiche situazioni di sopravvivenza potrebbe rivelarsi molto utile. In situazioni estreme, la possibilità di colpire a distanza può essere un importante ausilio alla caccia di selvaggina o, in acque basse, alla cattura di pesci (meglio evitare gli animali pericolosi ma soprattutto in nessun caso si deve puntare una freccia verso un’altra persona).

Detto questo si deve sottolineare un’altra cosa: perchè un arco abbia una qualche utilità di caccia è necessaria la compresenza di due (banalissimi) fattori: il primo è che arco e frecce siano solidi/equilibrati e il secondo, altrettanto importante, è che dietro corda e legno stia un arciere almeno vagamente capace.

Premettiamo inoltre che, in questa trattazione, non esporremo dettagli e finiture (come finestra, sguscio, ricurvo, ecc.), ci limiteremo a produrre un arco “di fortuna”, la cui gittata e precisione non deve essere in alcun modo paragonata ad uno strumento professionale (probabilmente il massimo che si potrà ottenere sarà un tiro valido non oltre i 10-14m).

La materia prima

Per quanto la costruzione di un arco possa sembrare “semplice”, è di grande importanza prestare attenzione a tutte le fasi (dalla scelta del materiale, alla sua lavorazione fino alla taratura); vediamo cosa ci serve per iniziare:

Legno per l’arco – E’ necessario trovare un solido e uniforme ramo di nocciolo, leggermente flessibile ed elastico (i migliore sarebbero tasso ed osage ma vanno bene anche robinia, sambuco, frassino, quercia o salice); per quanto riguarda la lunghezza cerchiamo di stare almeno attorno ai 160-170cm, per il diametro 3-4cm (senza corteccia).

  • Legno per le frecce – Il legno per le frecce deve essere di diametro inferiore (1/3 dell’arco, circa 1-1,5cm), rigido e regolare; il dardo deve essere perfettamente dritto per fendere bene l’aria e mantenere la traiettoria.

  • Corda – La corda occorre che sia allo stesso tempo resistente e leggermente elastica; in passato veniva prediletto il tendine di bue, oggi si usano filamenti di lino o dacron; in loro assenza l’ideale è uno spago o una robusta cordicella ottenuta con materiale di recupero (come costruire una corda).

  • Alternative – Se non si è in grado di trovare un legno sufficientemente lungo è possibile unirne due all’altezza dell’impugnatura (o a incastro o legandoli in modo perfettamente saldo, la mano stessa farà da ulteriore elemento fissante); non è inoltre esclusa la possibilità di creare uno strumento più corto; in teoria un arco più lungo dà maggiore stabilità, uno corto è più veloce.

Come costruire l’arco

Per mettere insieme un arco è necessario parecchio tempo, calma e pazienza; un lavoro frettoloso può risolversi in un risultato poco efficace o di scarsa durata. Vediamo quindi come adattare le parti che abbiamo racimolato precedentemente:

Spianare il legno – Per prima cosa occorre rimuovere la corteccia dal ramo con un coltello (o una pietra affilata) in maniera tale da renderne la superficie più omogenea e liscia possibile.

  • Modellare l’arco – Dobbiamo dare al bastone la forma di arco mantenendo più spessa l’impugnatura e assottigliando leggermente i due “bracci” in spessore (fig.1); tentiamo di assecondare le nervature e i nodi che il legno presenta, prevedendo la risposta agli stimoli, ricordiamo che l’arco deve potersi flettere ma non spezzare.

  • Le estremità dell’arco – Le due estremità del bastone devono essere a punta (non affilata); su ciascun lato deve essere poi ricavata un’incisione a uncino o un buco, o ancora due tacche laterali in modo tale da impedire alla corda di uscire.

  • Preparare la corda – La corda deve essere tesa, occorre stabilirne una lunghezza che la mantenga costantemente tirata (non deve essere applicabile se il legno non è compresso); per fissare la corda al legno occorre flettere l’arco (da in piedi); il modo migliore di legare la corda è fare un cappio su entrambi i lati che si fissi alle tacche laterali (imparare a fare i nodi).

  • L’equilibratura – Un buon arco a curvatura semplice deve essere il più possibile simmetrico, sia sotto il punto di vista delle forme, sia da quello del peso; procediamo delicatamente perciò ad eliminare le differenze di forma, curvatura e peso dei due “bracci” dell’arco; ad ogni modifica proviamolo.

  • Fasciature – Può essere comodo segnalare il punto in cui afferrare la corda (a metà) con un laccetto e/o  fasciare l’impugnatura con qualcosa che impedisca alla nostra mano di scivolare durante il tiro.

Come costruire le frecce

I dardi rappresentano una parte determinante del lavoro, se il questi non rientrano in determinati canoni tutto l’insieme perde di efficacia. Vediamo come realizzarne in modo sufficientemente intelligente:

Caratteristiche – Le frecce devono essere rigide, compatte, non troppo leggere, cilindriche e, per quanto possibile, senza ondulazioni; ogni irregolarità devierà il nostro tiro e ne disperderà la potenza.

  • Lunghezza – La lunghezza deve essere superiore a quella che passa tra quello che è il nostro mento e il nostro pugno quando abbiamo il braccio teso per tirare.

  • Il fondo – Il fondo della freccia deve avere una piccola scanalatura centrale che ci servirà ad appoggiarla sulla corda del nostro arco e a no farla scivolare; non applichiamo le piume troppo vicino al fondo o non avremo modo di impugnare la freccia.

  • Le piume – Occorrono due o quattro piccole piume (di uccelli, galline, ecc.) rigide per freccia; per applicarle è sufficiente praticare dei tagli che non deformino il dardo; queste vanno poi incastrate simmetricamente nelle fessure.

  • La punta – Per ottenere una buona punta l’ideale sarebbe impiegare del metallo ma essendo una situazione di sopravvivenza ci limitiamo ad affilare con dovizia una delle estremità del bastoncino; più la punta sarà affilata e dritta più il dardo sarà efficace.

Conclusioni

Quello che si propone è un tipico arco primitivo “di fortuna” (vagamente simile ad un flatbow simmetrico), non essendo però stagionato/trattato avrà una durata limitata nel tempo e non essendo rifinito non garantirà una precisione di tiro eccellente. All’occorrenza potrà tuttavia servire degnamente al suo scopo. A completare il lavoro mancano solamente tre cose basilari: una faretra (per trasportare le frecce), un bracciale protettivo (per evitare il contraccolpo sull’avambraccio) e l’abilità di tiratore (ottenibile solo con l’esercizio).

fonte:arcadiaclub

10 modi in cui gli assorbenti possono salvarvi nella giungla

 

Se siete dei veri uomini, al vostro kit di sopravvivenza per la giungla non può mancare un oggetto indispensabile: una scatola di assorbenti interni. L’avventuriero Creek Stewart ha esaminato, nel suo blog dedicato ai “veri duri”, 10 modi in cui gli assorbenti possono risolvere molte situazioni nel caso si debba affrontare la foresta o la giungla.

1. Bendaggio di emergenza

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2. Filtro per l’acqua

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3. Innesco per il fuoco

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4. Cannuccia filtrante

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5. Stoppino per una candela fatta a mano

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6. Corda

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7. Impennaggio per frecce

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8. Tubo di soffiaggio per scavare contenitori

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9. Custodia impermeabile per i fiammiferi

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10. Galleggiante per la pesca

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Sopravvivere: istruzioni per costruire utensili di fortuna



Quando può servire un coltello

 

In situazioni estreme, avere a propria disposizione un coltello può fare davvero la differenza (una lama può difatti tagliare, spellare, penetrare, ecc.).  In questa spiegazione il termine “coltello” viene unicamente usato in senso “metaforico”; l’idea è di convogliare materiali di recupero un oggetto tagliente o appuntito che possa essere impugnato e usato per la sopravvivenza, nè più nè meno. Invitiamo pertanto i lettori a non fare usi pericolosi o illegali di quanto proposto in questo tutorial.

 

Come ottenere una lama

 

Per prima cosa occorre procurarsi strumenti e materia prima per mettere insieme il nostro coltello, guardiamoci attorno e vediamo cosa ci può servire. Ad ogni lama descritta di seguito corrisponde un utilizzo e una longevità differente; è chiaro che nessuno dei seguenti componenti può sostituire l’efficacia di un coltello professionale di acciaio temprato. Ecco quindi alcune idee su come ottenere delle lame:

 

  • Lama di roccia – Assicuriamoci che sia resistente, non troppo sottile ed abbastanza affilata (possiamo tentare anche di migliorarne il filo sfregandola con un’altra pietra); un utensile di questo tipo può essere forse il miglior sostituto del metallo.
  • Lama di metallo – Un qualsiasi pezzo di metallo (un chiodo, un bracciale, ecc.) può essere adattato senza eccessive difficoltà alle proprie esigenze; attraverso il fuoco (e una pietra con cui batterlo) il metallo può assumere la forma che più ci si confà.
  • Lama di ghiaccio – In luoghi freddi, una lama di ghiaccio molto resistente (o addirittura ottenuta da acqua solidificata) permette di raggiungere eccellenti risultati; il consiglio è di evitare la seghettatura, di non tenere la lama troppo sottile e/o lunga.
  • Lama di plastica – Alcune tipologie di materie plastiche possono risultare molto taglienti se sfilacciate e/o seghettate; a seconda dello spessore e della dimensione, un coltello di plastica può rivestire svariati ruoli, il problema è che ha una durata media (correlata allo spessore e alla durezza particolare).
  • Lama vegetale – Parti vegetali acuminate (di spessore medio) possono risultare davvero utili per svariati impieghi; nel caso del legno può essere utile scheggiarlo leggermente, nel caso di parti “verdi” è possibile impiegarle per tagliare oggetti poco resistenti.
  • Lama di ossa – Lo scheletro di alcuni animali può con facilità contenere parti taglienti o comunque dello spessore giusto per poter essere lavorate; si tratta di una lama mediamente resistente ma adatta ad ogni scopo; in questi casi è sconsigliabile scagliare forti colpi su superfici solide.

  • Lama di vetro/vasellame – A volte basta rompere una bottiglia per ritrovarsi a brandire una lama molto delicata ma affilatissima; ottima per usi singoli e di precisione; se possibile conviene che sia piuttosto spessa e non troppo lunga.
  • Unghie – Se lasciate crescere abbastanza, irrobustite e affilate le proprie unghie possono diventare ottime lamette per piccoli lavori di taglio, affondo e trattamento; meglio comunque non oltrepassare una sporgenza dalle dita di 1,5-2cm.
  • Lama di cartone – In casi davvero disperati se si ha a disposizione del cartone spesso, rigido e molto compatto è possibile sfruttarne le punte per eventuali affondi; è importante non cercare di lavorarlo e/o piegarlo in alcun modo onde evitare che si sfaldi.
  • Lama di carta – In casi ancor più disperati è possibile sminuzzare della carta, bagnarla, mescolarla con resina o altre sostanze collose, comprimerne una grande quantità sotto a due massi (in modo da tenerne il filo sottile) e poi ritagliarne una lama; adatta per affondi singoli o tagli elementari.

 

Ad ogni lama corrispondono prestazioni differenti in relazione ad impiego e tempo di utilizzo; se se ne ha occasione può essere d’aiuto la costruzione di più coltelli dello stesso tipo e/o differenti in modo tale da essere pronti ad ogni evenienza.

 

Il manico e l’impugnatura del coltello

 

Una volta individuata una lama occorre produrre un manico e/o un’impugnatura. Il risultato finale deve possedere grande solidità, equilibrio e stabilità; essendo che la lama non è professionale non possiamo permetterci di disperdere efficacia in vibrazioni o difetti ovviabili. A riguardo della lunghezza e del peso cerchiamo di mantenere un certo equilibrio e una buona maneggevolezza:

 

  • Manico di legno – Se possiamo bucare la base della lama e farci passare una cordicella, abbiamo buone speranze di fissare un bastoncino come manico per poi avvolgerlo più e più volte.
  • Impugnatura ad avvolgimento – Se la lama è formata da un pezzo unico, abbastanza lungo da contenere un manico, è conveniente avvolgerla con stracci sfilacciati, foglie o corda.
  • Manico forgiato – Se ne abbiamo la possibilità la scelta migliore è sempre quella di forgiare direttamente un manico con un’impugnatura “ergonomica” assieme alla lama (senza dover suddividere insomma l’utensile in due parti).

 

Consigli finali

 

Concludiamo infine con tre consigli fondamentali:

 

  • Il fodero –  Per preservare il filo della lama, occorre costruire un fodero.
  • Protezione – Costruiamo ilo coltello in modo tale da non danneggiarci in fase di utilizzo.
  • Testare – Prima di mettere sotto sforzo il coltello è importante testarne la resistenza.

fonte arcadiaclub

Sopravvivenza: la costruzione di un badile, una vanga o una pala

 

A cosa può servire una pala

 

Avere a propria disposizione un utensile come un badile o una vanga può in più modi  facilitare la sopravvivenza in condizioni ostili (non è un segreto che scavare a mani nude una fossa più profonda di 60cm sia decisamente arduo); le evenienze più comuni, sono quelle che ci vedono costretti a: ricavare canali di scolo, trappole, dissotterrare/nascondere oggetti o ancora ammucchiare rapidamente del materiale (ghiaia, sabbia, neve, ecc.).

 

In questa spiegazione cercheremo un modo efficace per mettere insieme un badile, una vanga e/o una pala di fortuna. Prima di iniziare è tuttavia importante dire due cose: la prima è che la durata dell’attrezzo che andiamo ad “assemblare” sarà molto ridotta, la seconda che la sua longevità sarà fortemente influenzata dai materiali, dalla cura con cui lo fabbricheremo e soprattutto dal terreno in cui lo impiegheremo.

 

I materiali per mettere insieme la pala

 

Scegliamo bene cosa usare in relazione a ciò che abbiamo a nostra disposizione e progettiamo il nostro utensile di conseguenza:

 

  • Strumenti utili – Non dobbiamo farci mancare una “lama” per tagliare (di roccia o metallo – come costruire un coltello), una pietra per levigare e una per piallare.
  • Il manico – Per il manico occorre trovare un legno spesso, lungo, asciutto, non fessurato e robusto; in assenza di legno è possibile impiegare del materiale plastico rigido (pieno) o del metallo (meglio se cavo); per quanto riguarda le dimensioni, nel caso specifico, l’ideale sarebbe da un minimo di 15cm di diametro fino ad un massimo di 20cm per una lunghezza minima di 85cm fino a circa 130cm. La sezione, quadrata, rettangolare o rotonda non è rilevante.
  • La pala – Per questa componente possiamo optare per i seguenti materiali (in ordine di efficacia): metallo (per scavare terra mista a pietra), pietra (per scavare terra), legno (per fango) o plastica molto resistente (per sabbia, neve o spostamento oggetti). In quanto a misure dobbiamo stare entro questi parametri: da un minimo di 20cm ad un massimo di 30cm di larghezza e da un massimo di 35cm ad un minimo di 20cm di lunghezza; per quanto concerne lo spessore, se non abbiamo metallo, è consigliabile non scendere sotto i 2-2,5cm e non salire sopra i 4-4,5cm.
  • La corda – Abbiamo bisogno di parecchia corda del diametro di circa 2-3cm per una lunghezza di 5-6m (in ogni caso meglio abbondare dato che dovremo certamente apportare modifiche o sostituzioni). Per la costruzione della corda rimandiamo al tutorial come costruire una corda.

 

Come costruire la pala

 

Premesso che difficilmente otterremo una pala con cui sarà “confortevole” lavorare, ecco le indicazioni di assemblaggio delle parti (in figura 1 possiamo vederne un esempio):

 

  • Lavorare il bastone – Aiutandoci con una roccia cerchiamo di ottenere un “manico” liscio, regolare, levigato e privo di schegge; fatto questo occorre individuarne l’estremità con il diametro maggiore e praticarvi, esattamente a metà, un leggero incavo nel quale cercheremo di incastrare la pala (fig.1A).
  • La forma della pala – A seconda del lavoro che dobbiamo portare a termine esistono più forme utili (es. per la neve una forma più rettangolare, per un terreno più impervio una più triangolare) ma la “via di mezzo” descritta in figura 1 è senza dubbio la più versatile. Nel delimitare questa componente cerchiamo di lasciare anche un’area sagomata “ad incastro” come descritto in figura 1A in verde (che va poi a combaciare con l’incastro del manico).
  • La superficie della pala – Prima di collegare manico e pala, se questa ha spessore e resistenza sufficiente, è possibile levigarne la superficie creando un leggero incavo (come se fosse un cucchiaio) e “affilarla” fino a ricavare una specie di di filo nella parte inferiore; apportando queste migliorie renderemo l’atto dello scavare notevolmente più agevole.
  • I buchi – I fori di figura 1 vanno praticati affinchè la corda possa passarvi attraverso e fissare la due parti; nel ricavarli ricordiamo sempre e comunque di definirli in zone intermedie (mai vicino ai bordi), che devono essere molto piccoli e assolutamente ben levigati all’interno (onde evitare un’usura esponenzialmente superiore della corda).
  • Collegare pala e bastone – Il punto nevralgico dello strumento è quello che collega il manico alla pala, come descritto in figura 1 dobbiamo creare una struttura solida e stabile: facciamo passare simmetricamente i due estremi della cordicella attraverso tutti i buchi alternando via via a incroci di cordicelle diagonali passaggi orizzontali e a passaggi orizzontali altrettanti obliqui. Non ci sono regole fisse, tutto sta nel peso della pala e nello spessore/resistenza della corda, l’unica certezza è che la tensione deve essere massima.
  • L’impugnatura – Dato l’ampio diametro che abbiamo calcolato possiamo permetterci di levigare e/o assottigliare i punti in cui la impugneremo e, in secondo luogo, di avvolgerla con degli stracci o con della corda più morbida; il fatto di curare un’impugnatura “ergonomica” può fare la differenza tra conservare le proprie mani intatte per tutto il tempo dello scavo oppure no.
  • Rifiniture – Una volta ultimato il lavoro è possibile cospargere di materiale “colloso” non tossico o nutriente (es. della resina) l’area di congiunzione tra manico, corda e pala. Se poi l’utensile risulta corto è possibile applicare all’estremità opposta alla pala una seconda impugnatura perpendicolare (magari un legnetto fissato saldamente con una cordicella, in stile vanga militare).

 

Per concludere, prima di impiegare il nostro attrezzo testiamone la resistenza; fatto questo cerchiamo di non sottoporlo a sforzi oltre il necessario e al di fuori della su portata (evitiamo ad esempio di utilizzare la pala come se fosse un’accetta).

Come costruire una rete da caccia o da pesca

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In condizioni di sopravvivenza, saper costruire una rete da caccia o da pesca può risultare estremamente utile, sia per catturare selvaggina, sia per pescare (ove ce ne fosse occasione). In questo articolo non ci soffermeremo alle differenze tra i vari tipi di rete ma punteremo a metterne insieme una di fortuna.

Senza bisogno di scendere in dettagli tecnici è più che naturale che, con materiale di recupero, difficilmente riusciremo a catturare prede (terresti o subacquee) superiori ai 25-30cm di lunghezza. Evitiamo quindi di scegliere obiettivi troppo grandi o pericolosi.

La materia prima per costruire una rete

  • Rete da pesca – Per realizzare una rete da pesca dobbiamo necessariamente avere a disposizione parecchia corda. Ne abbiamo bisogno una più spessa per i bordi e una il più possibile sottile, resistente ed elastica (come costruire una corda).
  • Rete da caccia – Oltre alla corda potrebbe tornarci utile qualche pietra (da massimo 0.25kg l’una) per bloccare a terra la preda e impedirle di divincolarsi. In questo caso optiamo per una corda con un diametro più sostenuto e maglie più larghe.
  • Strumenti utiliColtello/lama per tagliare, esche, pietre per non far muovere la rete durante l’elaborazione ed eventualmente dei legnetti da legare in cima alle varie corde per aiutarci ad intrecciare il tutto.
  • Quanta corda serve – Per sapere quanta corda ci serve calcoliamo che per una rete di 1.5×1.5m servono almeno 300m di filamento (anzi, se possibile, abbondiamo a 350m). A meno che pensiamo di dover rimanere per parecchio tempo lontani dalla civiltà, produrre così tanta corda (manualmente) è decisamente sconsigliabile.

Come costruire una rete

Ecco alcuni rapidi passaggi:

  • Spazio e tempo – Mettere insieme una rete non è difficile ma abbiamo bisogno di calma, di tempo nonchè di uno spazio ampio e piano dove distendere i filamenti affinchè non si sovrappongano. La maggiore difficoltà è nel non far aggrovigliare i vari filamenti.
  • Tendere il filo di partenza – Per prima cosa occorre tendere la corda più spessa fissandola in due punti ad altezza uomo (ad esempio tra due alberi). Questa corda di partenza deve essere lunga quanto il lato della rete (es. per una rete di 3x3m deve essere lunga più di 3m).
  • Dimensioni della maglia – Alla corda tesa appoggiamo a distanze regolari (es. ogni 3cm) delle cordicelle doppie (lunghe 3m l’una) e fissiamole grazie a dei nodi a bocca di lupo (fig.1A-B). Ricordiamo che la distanza che intercorre tra un filamento doppio e l’altro stabilisce la lunghezza della diagonale minore di ciascun rombo della rete.
  • Intrecciare la rete – Fissati tutti i filamenti doppi a debita distanza, non ci resta che prendere una cordicella da un filamento doppio e una da quello limitrofo per poi annodarle a metà della distanza (fig.1C-D-F-G). Si tratta di afferrare i due filamenti, creare un cerchietto, entrare nel maglio superiore, passare per il cerchietto e tirare i capi tenendo un dito nel maglio superiore all’altezza dove vogliamo che il nodo rimanga.
  • Simmetrie – Se sbagliamo è probabile che dovremo rifare tutto da capo (una volta tesa, la rete è difficile da disfare); facciamo quindi attenzione a mantenere i nodi paralleli tra un filamento e l’altro. Come maglie della rete proviamo inoltre a creare dei quadratini invece che dei “rombi allungati”.
  • Fissare la rete – Conclusa la rete, facoltativamente, possiamo fissarne le cordicelle inferiori “penzolanti”. Prendiamo un’altra cordicella e fissiamoci a distanze regolari ciascun filamento con un nodo parlato o un nodo a mezza chiave (fig.1H).
  • Infilare la rete – Una volta ultimata la nostra rete può essere “infilata” in una corda più spessa. Facciamo passare attorno al suo perimetro, un rombo si e uno no, la nostra corda. Nel caso di rete da pesca infiliamo i galleggianti nella corda esterna e non nella rete. In caso di rete da caccia fissiamo i sassi-zavorra sulla rete stessa e non alla corda esterna.
  • Accorgimenti – Assicuriamoci di fissare tutti i nodi in modo tale che non si muovano. Prima di utilizzare la rete testiamone solidità/elasticità sul terreno di impiego (acqua, terra, aria, ecc.).

Come usare la rete

Per quanto parleremo più approfonditamente di caccia e pesca con la rete, ecco alcuni spunti:

  • Pescare – Abbiamo molte possibilità di impiego per la nostra rete, eccone alcuni: ben fissata ai lati di un piccolo torrente (in maniera tale da poter essere recuperata da un solo lato); in una struttura a clessidra (da cui è facile entrare attratti da un’esca ma difficile uscire); applicata ad un retino (un bastone ben fissato ad una robusta struttura di sostegno circolare/rettangolare); fino all’uso tramite barca e galleggianti. In tutti i casi facciamo in modo che la nostra rete sia stabile almeno 3 lati su 4 (zavorrata sul fondale e ai lati) in maniera da evitare la fuga dei pesci.
  • In generale – Facciamo anche attenzione alla dimensione delle maglie della rete e alla loro resistenza in relazione alla preda che vogliamo imprigionarvi. Non di rado anche piccoli animali/pesci sono dotati di apparati acuminati in grado di tagliare la nostra corda (denti, unghie, protuberanze ossee, cartilaginee, ecc.).
  • Cacciare – Per la caccia, una rete può essere utile se zavorrata e lasciata cadere dall’alto o ad esempio sollevata dal basso per poi chiudersi su se stessa.
  • Trasporto – Oltre che per catturare pesci e selvaggina una rete chiusa può aiutare a trasportare oggetti. Vedere anche come costruire un’amaca e un ponte di corda.

Gli impieghi sono molteplici ma non è facile improvvisarsi cacciatori o pescatori in breve tempo, occorre fare pratica e progettare strategie efficaci. Istinto, agilità e riflessi che noi abbiamo dimenticato vanno affrontati con l’ipertrofica capacità umana di ragionare.

Argilla: il benessere che proviene dalla terra

L’argilla rappresenta uno dei più antichi rimedi naturali conosciuti, si dice che il suo uso risale ai principi dell’umanità, poiché l’uomo istintivamente, imitando gli animali che si rotolano nel fango, ne abbia conosciuto le proprietà.
L’argilla ha proprietà antinfiammatorie, purificanti, lenitive, antibiotiche, cicatrizzanti, antisettiche, idratanti, disintossicanti, decongestionanti, immunostimolanti, tonificanti, rinfrescanti e molto altro.
I vantaggi dell’argilla sono molteplici giacché è un efficace antibiotico, disintossica l’organismo, mantiene la salute dell’apparato digerente, arricchisce il sangue, assorbe le radiazioni nocive, distrugge le cellule malate, rivitalizza il metabolismo, stimola le funzioni della pelle, favorisce l’eliminazione dell’acido urico e tonifica in genere.


Tutte le argille hanno le stesse qualità ma in proporzioni diverse.
 
Argilla Verde
 
Utile negli impacchi come antinfiammatorio, analgesico e ingerita calma le ulcere dello stomaco e regola le funzioni intestinali. Ne va preso un cucchiaio in un bicchiere d’acqua e lasciato riposare in modo che l’argilla si depositi nel fondo, si beve al mattino appena svegli.
 
Stimola la circolazione di ossigeno, nutre e rigenera la pelle deteriorata e può essere usata anche come shampoo per capelli grassi.
 
Argilla Bianca
 
Questo tipo di argilla è più neutra e delicata ed è impiegata principalmente per uso interno.
Per uso esterno può essere applicata come cataplasmi e maschere, nei bambini si può applicare per la disinfezione. Può essere utilizzata anche come collutorio orale e borotalco per i bambini.
 
Argilla Rossa
 
E’ un’argilla utilizzata soprattutto a livello medicinale per la sua capacità di assorbire le ulcere gastriche, colite e gastrite. È utilizzata anche per bagni medicamentosi, problemi di pelle e inoltre è un ottimo tonico.
 
Tutte le tipologie di argilla possono essere applicate in molti modi diversi interni o esterni ma è fondamentale che né il metallo né la plastica entrino in contatto con la sostanza.
 
Possiamo preparare l’argilla in modo naturale, o mescolandola con oli, infusi o tinture. Sempre in base all’impiego che ne dobbiamo fare.
 
Nelle ferite e nelle ustioni può essere messo direttamente una volta preparato con acqua se invece si tratta di fratture e distorsioni, possiamo anche miscelarla in un infuso di arnica.
 
Per la cellulite possiamo fare degli impacchi nelle zone da trattare, miscelando l’argilla con infuso di betulla o di centella asiatica.
 
In casi di febbre, possiamo fare dei cataplasmi da applicare sull’addome e sostituendoli ogni volta che andrà a riscaldarsi, tendono ad assorbire il calore.
 
L’argilla può avere delle controindicazioni, e per tanto è sempre bene sentire il consiglio del proprio medico quando decidiamo di prenderla per via orale.

http://ambientebio.it/argilla-proprieta-e-benefici/

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